domenica 20 gennaio 2008

Quando il referto complica la comunicazione tra medico e paziente


Un referto strumentale può diventare un nemico della comunicazione tra medico e paziente? Può, se non associato al dialogo tra le due “persone”, diventare un modello negativo per un corretto approccio clinico? Può complicare, anziché agevolare, il percorso diagnostico? Può comportare conseguenze deleterie a carico della persona-paziente?
Rispondo con un episodio accaduto realmente, qualche mese fa, in un ospedale della nostra penisola.
Dopo esame di gastroscopia, il giorno della dimissione, il primario si rivolge alla paziente dicendole: “signora l’esame conferma che l’intervento chirurgico allo stomaco è andato bene e quindi può tornare a casa tranquilla”. Ma io non mi sono mai operata allo stomaco, risponde meravigliata la paziente. No signora, l’esame parla chiaro e dice che l’intervento ha avuto un esito positivo. Dottore, io non mi sono mai operata allo stomaco! Ma lei è la signora Tal dei Tali? Certo, sono io e l’unica operazione a cui mi sono sottoposta è stata un’appendicectomia all’età di 18 anni. E poi dottore, se mi fossi operata avrei anche la cicatrice sulla pancia, le pare?
Va bene signora, allora mettiamo un punto interrogativo al referto e poi le facciamo sapere.
Si trattava, evidentemente, di un comune scambio di esame.
Un episodio non più grave di tanti altri, ma che deve far riflettere in un’epoca dove il referto strumentale viene vissuto come verità assoluta e prevarica l'importanza prioritaria dell'anamnesi, della visita e, soprattutto, del colloquio.

La preoccupazione maggiore sta nel fatto che, col tempo, ci si abitui alla regola imperante in altri settori, politica in primis, e si risponda innocentemente: così fan tutti!

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